Dopo un pomeriggio passato insieme, mi ha fatto venire un’idea e ho intenzione di fargli una sorpresa: lo invito nel mio appartamento per una cena e un film, sperando di non risultare inopportuna ma di fargli piacere. Puntualissimo, come suo solito, alle 19 bussa alla porta. Faccio un bel respiro e levo la felpa, lasciando in mostra quello che indosso. Controllo il biglietto un’ultima volta e lo prendo. Socchiudo la porta di ingresso e gli apro il portone. Mi dirigo rapida vicino al tavolo da pranzo e aspetto i suoi passi che si avvicinano. “Tesoro? Dove sei? Che succede?”
Lo sento venire verso la sala con passi timorosi, come se avesse davvero paura di quello che stava succedendo. Percepisco l’esatto istante in cui mi vede, il suo sguardo mi percorre tutta, dai piedi, alla testa, passando per la scritta. Il suo sguardo passa da allibito a sorpreso, fermandosi sul soddisfatto e io mi rilasso improvvisamente. Non mi ero resa conto di quanto fossi nervosa alla sua reazione fino ad adesso. Alzo le mani per porgergli il biglietto che ho scritto con tanta cura:
Mio Signore, per questa sera non sono più una persona, sono un oggetto che potrà usare a suo piacimento. La cena è pronta e il film è davanti alla televisione, avrei il piacere di farmi usare come poggia vassoio o come poggia piedi. Mi usi come preferisce, sono nelle Sue mani.
“Benissimo, alzati e mostrati oggetto.”
In questo momento sono enormemente soddisfatta della mia scelta di abbigliamento, mi fa sentire bella e più sicura di me. Sento i suoi occhi che mi seguono in ogni movimento mentre ruoto su me stessa: parte dalle mie bellissime e scomodissime decoltè in camoscio nero, sale alle autoreggenti scure, arriva allo slip in pizzo viola lavorato, risale alla scritta sul mio ventre. Si fissa, la ammira, la legge.
Mi usi Padrone
Sorride.
Un sorriso spontaneo nasce sulle sue labbra e vorrei imitarlo: il mio regalo è stato apprezzato, almeno la prima parte. Finisce di ammirarmi, passando al reggiseno abbinato e alla ball-gag che ho in bocca, per concludere sui miei occhi nei quali si fissa. Sembra quasi che voglia chiedermi se ne sono certa, se è davvero quello che voglio. Annuisco lievemente, ne sono certa.
“Allora, hai parlato di cena. Aspetta qui che vado a prenderla.”
Lo sento trafficare un po’ aprendo mobiletti e mi chiedo il perché, ma non mi preoccupo, sono troppo felice che la serata abbia preso la piega che tanto desideravo. Dopo un po’ lo vedo di ritorno con due vassoi. Ne poggia uno a terra e mi si gela il sangue: non può davvero chiedermi di restare tutto il tempo ferma lì.
“Avanti, inginocchiati sul vassoio. Ho deciso di mettere un po’ di ceci per rendere il tutto più divertente. Per me ovviamente.” Mi dice con un sorrisetto. “Sono nel vassoio così non correremo il rischio di disperderli per casa o che siano troppo pochi sotto le tue ginocchia.”
Ho deciso di giocare, giocherò secondo le sue regole. Mi ero illusa che avrebbe giocato secondo le mie, che avrebbe rispettato i miei piani per la serata ma erano solo vane speranze. Mi inginocchio a fatica per colpa dei tacchi alti e poggio le ginocchia sui ceci. Che dolore! Dolore puro. Sento ogni singolo legume sotto le ginocchia doloranti. Scavano la mia pelle, si trovano un posto tutto loro in cui stabilirsi a discapito delle mie ginocchia.
“Aspettami qui, torno subito.”
E se ne va, mi abbandona così. Sto cominciando ad andare in panico quando sento una carezza sulla testa e la sua presenza dietro di me. Mi calmo immediatamente e ritorno padrona del mio respiro, concentrandomi, cosa non facile con la ball-gag in bocca.
“Alza e allunga le braccia, rendiamo le cose più interessanti.”
Eseguo e mi lega con una corda leggera i polsi, lasciando una manciata di centimetri tra loro.
“Bene, ora sei pronta. Non fare un fiato e reggi il vassoio a braccia perfettamente tese per me, devo gustarmi la mia cena in pace. Forse, quando avrò finito ti darò qualcosa da mangiare, non disperare troppo.”
Comincia a mangiare, boccone dopo boccone. Le mie ginocchia sono già al limite, i ceci stanno facendo un ottimo lavoro per torturarmi a dovere. Sono passati pochi minuti e già non resisto più. Cerco di spostarmi leggermente ma subito mi arriva uno schiaffo di avvertimento. È così umiliante e doloroso che non posso che eccitarmi. Non mi sta calcolando, mi ignora, mi fa male tutto e mi ha appena schiaffeggiata e io sento una fitta chiarissima dal mio basso ventre. Rende tutto questo ancora più umiliante.
Il vassoio non è così leggero come sembrava all’inizio, comincia a pesare. Le braccia mi fanno male, tra non molto cominceranno a tremare per lo sforzo a cui le sto sottoponendo. L’insieme sta diventando molto problematico, sto cominciando a essere un intero essere dolorante. Non contemplo però il fatto di arrendermi: resisterò fino alla fine. Me la sono andata a cercare e arriverò fino in fondo. Non ho altre alternative. O meglio, non prendo in considerazione altre alternative. Lui sta continuando a mangiare con tutta calma e io svuoto la mente: se mi concentro il dolore posso allontanarlo o almeno ci posso provare. Mi sembra di essere così da ore, lo sforzo fisico sta diventando davvero esagerato, le mie braccia non penso riusciranno a reggere il peso del vassoio ancora per molto stese dritte come sono. Avrei dovuto fare più palestra per poter reggere più a lungo. Comincia a diventare tutto così faticoso, anche concentrandomi solo su di lui, che sento l’eccitazione cominciare a scemare. Ormai è tutto preda del dolore. Sono questi i momenti in cui capisco sempre meglio cosa vuol dire essere sottomessa: non è solo il momento dell’eccitazione, è una forma mentale. Va oltre il gioco sessuale spinto, va oltre tutto. Lo scopo diventa servire ed essere all’altezza anche senza avere nulla in cambio. Sono momenti estremamente difficili, ma che insegnano tantissimo, rafforzano il carattere da sottomessa. Non so quanto tempo perdo in queste riflessioni ma alla fine lui ha finito la sua cena. Si alza, mi prende il vassoio dalle mani e va in cucina.
Non mi ha detto nulla, resto semplicemente immobile, non abbasso nemmeno le braccia.
Non ho avuto il permesso di muovermi, quindi non lo faccio. Lo sento dietro di me e mi libera la bocca. La muovo un po’ per riabituarsi alla posizione normale e lo ascolto.
“Ora ti giri, ti metti a gattoni e, come una brava cagnolina, mangi tutto dalla tua ciotola senza lasciare nulla. Ti puoi alzare ma tornerai sui ceci: se ne fai uscire uno dal vassoio, avrai una frustata, due, due frustate e così via.”
A fatica mi alzo e stendo un secondo le gambe doloranti per il lungo periodo ferme. Un paio di ceci sono rimasti attaccati alla pelle ma riesco a farli staccare e ricadere nel vassoio. Le braccia hanno finalmente un attimo di riposo come le ginocchia, ma temo molto il momento in cui ritornerò sui ceci: il dolore sarà amplificato dalla pelle già martoriata. Sciolgo leggermente il collo e mi giro lentamente, muovendo leggermente le natiche come so lo fa eccitare. Come volevasi dimostrare, mi arriva una sculacciata potente che mi fa fremere tutta.
“Muoviti schiava, non abbiamo tutta la notte.”
Però vedo il suo sorriso sul volto e mi riempie di gioia. Finalmente sono in posizione e mi abbasso piano, temendo il momento del nuovo contatto con i ceci. Il dolore è ancora più forte, proprio come pensavo. Arriva direttamente al cervello e un gemito di dolore lascia le mie labbra. Mi prende per i capelli e mi bacia e, grazie a questo semplice gesto, riesce a trasmettermi tutto quello che prova, tutto l’amore che prova per me, per il mio gesto, la gratitudine di essermi affidata a lui e per tutto il dolore e l’umiliazione che sopporto per lui. Era esattamente quello di cui avevo bisogni in questo momento per andare avanti.
“Ora fa la brava cagnolina e mangia tutto.”
Quello che ho davanti è un miscuglio indefinito che sembra veramente vomitevole ma mi chino a mangiare. Un boccone dopo l’altro arrivo a metà e sento qualcosa insinuarsi tra le mie gambe e cominciare a sfregare. L’umiliazione del momento è talmente elevata che emetto un gemito: sono in ginocchio sui ceci, a gattoni, con le mani legate tra loro, a mangiare come una cagna con un piede che frega in mezzo alle mie gambe e mi eccita terribilmente. Il massaggio è così bello che mi interrompo la mia cena per godermelo meglio. Mi spingo per cercare di avere il maggior piacere possibile e comincio a muovermi in autonomia contro il suo piede. Mi agito, mi dimeno e arrivo a un passo dall’orgasmo.
“Chi ti ha detto che potevi smettere di mangiare? Ricomincia subito e stai ferma cagna. Ricordi? Sei un oggetto, non hai vita tua.”
Oddio, questa sarà una serata davvero lunghissima. Sono già così eccitata che potrei fare una pazzia ma mi costringo a restare immobile e a finire in fretta di mangiare, così da poter passare al resto. Il suo piede non smette di muoversi, mi lascia solo qualche pausa per riprendermi quando sente che mi sto avvicinando troppo all’orgasmo. Direi che stasera non hai intenzione di farmi venire o, almeno, di rendermi la vita semplice in questo. Dopo non so quante interruzioni, finalmente ho finito la mia cena e lui ferma il piede definitivamente. Che enorme peccato, un leggero sfregamento in più e sarei riuscita a venire senza alcun problema, nemmeno la vergogna del momento mi avrebbe permesso di lasciarmi scappare il mio agognato orgasmo.
“Ora è il momento del film, sei pronta?”
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